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Amare le cose belle genera un irresistibile desiderio di accumulo e dominio. La contemplazione della bellezza, attività primaria del gentiluomo, legata all’intimo piacere del possesso, produce soddisfazione e narcisistico autocompiacimento. Per chi ama gli oggetti, a cui riconosce un’anima e una vita propria, salvaguardarne l’integrità è un dovere primario. Anche perché l’uomo elegante sa che gli oggetti non si possono veramente possedere, perché essi sono destinati a sopravviverci, in quanto godono, differentemente da noi, del dono dell’immortalità. Il compito del gentiluomo resta, quindi, quello di conviverci per il tempo che gli è concesso, per poi tramandarli, con la speranza che finiscano in mani altrettanto sensibili.

Credo che l’attitudine alla cura e all’acquisto degli oggetti di bella fattura mi sia stata tramandata geneticamente dal nonno materno. Si chiamava Aniello Cafiero ed era l’ultimogenito di una famiglia di armatori napoletani. Come il fratello maggiore, era capitano di lungo corso e comandava transatlantici da crociera. Uomo metodico, volenteroso e tenace, a dispetto della famiglia che non apprezzava la sua mania di acquistare mobili, quadri e suppellettili, considerandolo un modo insano di sperperare denaro, mio nonno non abbandonò mai, nella sua breve vita, questa passione per l’accumulo e la collezione. I suoi sperperi regalarono alla famiglia, oltre a numerosi mobili del Seicento e Settecento napoletani, una modesta pinacoteca tra cui figuravano un immenso quadro del Guercino, un paio di Luca Giordano, una Madonnina attribuita alla scuola di Giotto e una settantina di olii di Crisconio e Viti, e numerose pitture della scuola di Posillipo. Del pochissimo tempo trascorso con lui mi rimangono pochi ricordi. Fra questi, sicuramente quelli legati ad alcune attività in cui mi coinvolgeva per aiutarlo a mettere in ordine le sue collezioni di bastoni da passeggio, di pastori del presepe napoletano e di libri antichi. Credo che quelle ore, vissute spesso in silenzio, ascoltando le sue raccomandazioni sull’importanza di preservare gli oggetti carichi di storia, siano state la genesi dell’interesse, che ho poi mantenuto per tutta la vita, per i manufatti di costruzione artigianale. Dalla parte paterna presumo e credo di aver metabolizzato il motto che integra il blasone: “Ad onta di tutto credo!”.

Da sempre frequento i mercati di antiquariato di tutte le città che ho modo di visitare. Coltivo l’interesse per la valigeria e astucceria inglese.

Degli oggetti legati al fumo e ai sigari Avana in particolare, prediligo i portasigari in cuoio inglese e coccodrillo fabbricati negli ultimi due secoli, le humidor e le scatole di sigari vintage. L’amore per gli Avana mi ha portato a frequentare i templi sacri del commercio del sigaro, e conosciuto personalmente alcuni dei grandi mercanti, primo fra tutti Zino Davidoff. Parafrasando Auric Goldfinger, che nutriva per l’oro la stessa morbosa passione, posso affermare che «mi lancio in qualsiasi impresa che possa aumentare la mia riserva di sigari Avana, che è già considerevole!».

Se mi si domanda, infine, come è nata questa “passione”, rispondo: «come tutte le altre». I grandi amori, quelli definitivi, nascono sempre da emozioni forti, esperienze coinvolgenti, estasi di piacere e godimento che vogliamo ripetere, rivivere, conoscere e dominare a nostro piacimento.